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LE EPATITI VIRALI OGGI (2)

Venerdì 11 Maggio 2012

A cura del Dott. Giancarlo Pasetti, specialista in malattia infettive ed epatologia

 

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Possibilità di trattamento

Nel corso dell’infezione cronica i  pazienti possono presentare diverse fasi in relazione al loro stato sierologico, alla replicazione virale rappresentata dalla quantità di DNA virale circolante e al danno epatico indicato dal valore delle transaminasi.

Questa valutazione serve anche a pianificare l’indirizzo terapeutico: attualmente è indicato il trattamento nei pazienti con epatite cronica HbeAg positiva con alta viremia e alterazioni delle transaminasi  e nei pazienti con epatite cronica HBeAb con replicazione virale ed alterazione più o meno fluttuante delle transaminasi, non è solitamente indicata nei pazienti in fase di immunotolleranza e nei pazienti definiti come portatori non attivi.

Ma a queste considerazioni vanno aggiunti anche vari fattori di rischio, che devono aiutare a guidare anch’essi gli orientamenti terapeutici (età superiore ai 35 anni, familiarità positiva per HCC, etnia asiatica, alto grado di fibrosi) alle indagini strumentali (ecografia e/o biopsiaelta di quando iniziare la terapia ed con quali farmaci è un momento molto delicato dell’iter assistenziale de). Quindi la scl paziente e necessita dell’apporto coordinato di tutte le figure coinvolte : il medico di medicina generale, lo specialista epatologo e lo stesso paziente.

I farmaci su cui attualmente esistono prove di efficacia sono:

  • l’interferone l’IFN peghilato alfa 2a ( Peg-IFN);
  • i nucleosidici e nucleotidi della trascrittasi inversa (NUC), che sono diversi farmaci che hanno lo scopo di inibire la DNA-polimerasi virale e si distinguono in base alla potenza e alla barriera genetica.

Nei pazienti con epatite cronica B si possono adottare due strategie: la prima prevede un trattamento di breve durata con lo scopo di indurre una significativa soppressione della replicazione virale e la siero conversione ad anti-HBe. Questa strategia si basa sull’impiego dell’IFN, che rimane il trattamento di prima linea, nonostante la bassa percentuale di risultati ottenuti (< 25%) e la presenza di frequenti effetti collaterali.

La seconda strategia prevede un trattamento a lungo termine mirato ad ottenere la siero conversione ad anti-HBe o la siero conversione ad anti-HBs: questo si può ottenere con i NUC.

 

L’epatite cronica da HCV

Per quanto riguarda il virus C gli studi di prevalenza nella popolazione generale hanno riscontrato che questa infezione è caratterizzata da un picco di prevalenza superiore al 5% nei nati prima del 1940, intorno al 3% nei nati tra il 1940 ed il 1949 e generalmente inferiore al 1,5% nei nati dopo il 1950, con progressiva riduzione nelle generazioni più giovani.

E’un’infezione quindi che ha avuto una larga diffusione negli anni 50’ e 60’, diffondendosi prevalentemente con modalità iatrogene e in particolare con l’uso di siringhe di vetro non adeguatamente sterilizzate e con la terapia con emoderivati fino al 1987, quando entrò in uso lo screening  per HCV; attualmente la prevalenza è significativamente più elevata nelle persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti.

La storia naturale dell’epatite cronica da HCV si diversifica da caso a caso, in funzione di diverse variabili, quali la comorbidità, l’età avanzata, il sesso maschile, l’abuso di alcool.

Nella maggior parte dei casi la progressione è assai lenta, con una probabilità media stimata di evoluzione in cirrosi a 40 anni dell’infezione di circa il 20-40 %; se compare lo scompenso epatico la prognosi diventa più rapidamente infausta: dopo la comparsa di ascite la sopravvivenza a 5 anni è circa del 20 %.

Le stime dell’evoluzione dalla cirrosi all’HCC sono dal 16 al 25% a 5 anni.

 

Criteri diagnostici

Un aspetto che deve essere tenuto presente nell’epatopatico con infezione da HCV è che una grande percentuale di pazienti presenta transaminasi normali e in questi pazienti spesso l’attività degli enzimi epatici non corrisponde alle lesioni epatiche, che possono essere anche di grado severo

I criteri diagnostici che ci aiutano nella definizione di epatite cronica da HCV  sono senz’altro la ricerca degli anticorpi anti HCV, ma sono anticorpi e spesso significano solo un pregresso contagio, quindi deve essere ricercata la presenza di RNA virale, la quale sola ci consente di confermare la presenza di infezione da HCV attiva; per quanto riguarda  gli enzimi epatici ho già accennato al fatto che le transaminasi, anche in corso di infezione attiva, possono essere nell’ambito nella norma; ulteriore passo è quindi l’esecuzione di un’ecografia epatica che ci può aiutare ad evidenziare la presenza di alterazioni morfologiche del fegato e in particolare evidenziare i segni di fibrosi epatica, la cui entità ci permette di stadiare l’evoluzione raggiunta dal danno epatico.

La Società Italiana per lo studio del fegato (AISF) ha schematizzato nell’ algoritmo, di seguito riportato, il percorso diagnostico a cui  dovrebbe essere sottoposto in paziente con infezione da HCV:

 

Cenni di terapia

L’ attuale terapia dell’epatite cronica da HCV si basa sull’associazione di Interferone peghilato (PEG-IFN a2a o PEG-IFN a2b) con ribavirina e la durata del trattamento varia in relazione al genotipo virale in quanto diversa è la sensibilità alla terapia (circa 80 % nei genotipi 2 e 3), inferiore al 50% nel genotipo 1 , che è anche il genotipo più frequente in Italia.

Recentemente sono stati ottenuti promettenti risultati nel trattamento dei pazienti affetti da infezione da HCV di genotipo 1 associando alla terapia con IFN e ribavirina farmaci appartenenti ad una nuova classe terapeutica, gli inibitori della proteasi virale.

 

Articolo estratto da Polinews 11 – marzo 2012

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