Il “mal di testa” è tra le prime venti patologie per numero di pazienti, basti pensare che tormenta 10 milioni di italiani.
In un precedente articolo avevamo affrontato il problema con il neurologo Paolo Bovi che ci aveva descritto le cefalee distinguendone due forme: primarie e secondarie.
Le prime, che sono di gran lunga le più frequenti e nella maggior parte dei casi risolvibili o almeno migliorabili, si suddividono in tre grandi categorie:
- emicrania
- cefalea di tipo intensivo
- cefalea a grappolo
“Per avere le dimensioni del problema, pensiamo che in Italia circa 10 milioni di persone soffrono di un tipo di cefalea primaria in modo episodico e ben 2 milioni in modo cronico – ha spiegato il dottor Paolo Bovi della Clinica San Francesco di Verona – Le donne sono più colpite degli uomini, a parte nella cefalea a grappolo dove la prevalenza si inverte. Si tratta della quarta patologia cronica più ricorrente nel mondo e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la colloca al 19° posto tra le patologie disabilitanti“.
Quali sono i sintomi dei diversi tipi di ‘mal di testa’?
Emicranie
Continua il Dott. Bovi: “L’emicrania è la più nota, anche se non la più diffusa, delle cefalee primarie. Vi è un graduale incremento della prevalenza che va dall’età pediatrica (quindi anche i bambini in età scolare possono soffrire di emicrania) a quella adulta, con picco tra i 35 e i 45 anni di età, con successiva progressiva riduzione, in particolare dopo i 60 anni“.
Fino ai 15 anni non si riscontrano differenze significative tra i due sessi, ma a partire dalle età superiori il divario a sfavore delle donne diviene notevole, fino a raggiungere un picco a 40 anni; dopo i 60 anni la differenza torna ad essere meno significativa. Va precisato subito che il dolore emicranico o meglio l’attacco emicranico non va banalizzato in quanto è motivo di vera e reale sofferenza per chi ne è colpito.
Per quanto riguarda l’insorgenza del dolore, può iniziare in qualunque momento della giornata, talvolta anche durante la notte ed è frequente che il soggetto si svegli già con il mal di testa. Per quanto riguarda la localizzazione del dolore, nonostante il nome evochi una lateralizzazione dello stesso, non sempre è così: infatti è vero che può coinvolgere una metà del capo, ma può essere anche bilaterale e riguardare la zona anteriore frontale oppure quella posteriore occipitale.
La caratteristica del dolore emicranico è quella di essere generalmente di forte/severa intensità e di tipo pulsante, aggravato dai movimenti e da qualunque stimolo sensoriale; non a caso la persona che ne è affetta preferisce la posizione supina a letto, al buio e nel silenzio più completo.
È inoltre corretto parlare di emicranie al plurale; infatti si differenziano in diverse tipologie:
- emicrania senza aura
- emicrania con aura
- emicrania retinica
- sindromi periodiche dell’infanzia (considerate un “equivalente” emicranico)
Cefalee di tipo tensivo
Si tratta del “mal di testa” più comune e probabilmente qualunque individuo in un momento o l’altro della vita ne ha sofferto, almeno in forma episodica. Il problema, come spiega Paolo Bovi, “insorge quando la cefalea diventa cronica e quindi continua o sub-continua, anche per lunghi periodi di tempo, diventando una sgradevole abituale compagnia.
Nei casi cronici si verifica un aumento della sensibilità della cute e della muscolatura attorno al cranio per una accentuazione della risposta dei recettori del dolore periferici; inoltre nel tempo si stabilisce una alterata modulazione del dolore a livello centrale (talamo) per un prolungato arrivo di stimoli dolorifici che può comportare una disfunzione permanente dei nostri sistemi di controllo del dolore. Stress, conflitti, ansia e depressione, che spesso si accompagnano a questa cefalea, contribuiscono a modificare la modulazione del dolore sia a livello periferico che centrale, generando pertanto un pericoloso circolo vizioso.
Il dolore della cefalea tensiva ha caratteristiche diverse da quello emicranico, sia per la minore intensità, che è lieve-media, che per la tipologia, essendo più di tipo gravativo e descritto abitualmente come “una fascia che stringe le tempie” o come “un casco in testa”; di conseguenza questo tipo di cefalea non compromette le normali attività che possono essere portate a termine pur con un certo disagio. In sintesi il problema fondamentale è la durata della cefalea di tipo tensivo più che la sua intensità”.
Come si cura una cefalea tensiva?
Come terapia, di fronte a singoli episodi di dolore, si possono usare farmaci antiinfiammatori non steroidei e/o farmaci ansiolitici della famiglia delle benzodiazepine.
Nella forma cronica, a parte il tentativo di eliminare i possibili fattori di stress e il supporto di farmaci ansiolitici e/o antidepressivi, sono utili le terapie di rilassamento (tipo training autogeno) e anche l’agopuntura, mentre è fortemente controindicato l’uso cronico quotidiano di antidolorifici di varia categoria che invece tendono, a loro volta, a cronicizzare il dolore.
Cefalee a grappolo
Si tratta della forma più rara, ma è comunque importante riconoscerla, sia perché è spesso confusa con altri dolori del capo (ad esempio con la nevralgia del trigemino) e pertanto non diagnosticata correttamente, sia perché si tratta della cefalea più invalidante (cosiddetta “cefalea del suicidio”, per l’intensità estrema del dolore!) ma anche di una forma ben controllabile dalla terapia specifica.
Il nome “grappolo” deriva dal fatto che i singoli attacchi dolorosi tendono a raggrupparsi in periodi della durata di uno o due mesi (raramente di più) per poi sparire spontaneamente e ripresentarsi l’anno successivo (o a distanza di anni) abitualmente nell’identico periodo. Questo tipo di cefalea è fortunatamente nella maggioranza dei casi di tipo episodico e solo raramente cronico.
Per parlare con sicurezza di cefalea a grappolo, devono verificarsi almeno 5 attacchi con dolore:
- severo, trafittivo (“un pugnale conficcato nell’occhio”);
- strettamente unilaterale (sempre nello stesso lato del soggetto);
- localizzato in sede oculare, orbitaria, sovra-orbitaria e/o temporale;
- della durata da 15 a 180 minuti (senza trattamento).
Deve poi manifestarsi almeno uno dei seguenti segni di accompagnamento, rigorosamente dalla stessa parte del dolore:- arrossamento della congiuntiva con lacrimazione;
- ostruzione nasale con emissione di liquido sieroso;
- sudorazione facciale;
- restringimento pupillare (miosi) con abbassamento e gonfiore della palpebra;
- frequenza degli attacchi da 1 ogni 2 giorni a 8 al giorno, anche di notte, tendenzialmente sempre alla stessa ora (veniva chiamata “emicrania orologica”).
“Un aspetto fondamentale che distingue l’attacco di emicrania da quello di cefalea a grappolo – spiega Bovi – è che, nel primo caso, il soggetto sta meglio in una condizione di quiete, silenzio e buio mentre, nel secondo caso, egli manifesta un atteggiamento di intensa agitazione ed iperattività motoria che può sfociare in atti di aggressività verso se stesso (“sbatto la testa contro il muro”) e anche verso gli altri.Per quanto riguarda l’origine di tale dolore, l’ipotesi accreditata è che esso dipenda da una disfunzione a livello dell’ipotalamo, che è una struttura chiave nel controllo dei ritmi circadiani (quali ad es. sonno-veglia, fame e sete); il che spiegherebbe anche la ritmicità di presentazione dei singoli attacchi e degli stessi grappoli”.
Come si cura la cefalea a grappolo?
La buona notizia è che oggi esiste la possibilità di curare adeguatamente questo tipo di cefalea:
- il singolo attacco doloroso può essere stroncato in pochi minuti dall’iniezione (anche auto-iniezione) sottocutanea di un farmaco il cui principio attivo è il Sumatriptan (una volta si doveva ricorrere alla inalazione di ossigeno ad alta concentrazione); mentre tutti gli altri antidolorifici sono del tutto inefficaci;
- il “grappolo” può essere aggredito dal momento della sua insorgenza da almeno tre categorie di farmaci (un cortisonico, il prednisone; un calcio-antagonista, il verapamil; un sale, il litio) da utilizzarsi a scopo preventivo per tutta la durata presunta della fase dolorosa;
- nei rari casi di forma cronica, si può ricorrere a tecniche più sofisticate di stimolazione cerebrale profonda (DBS) mediante elettrodi impiantati direttamente nel cervello a livello dell’ipotalamo.