Articolo a cura del Dott. Stefano Passeri, neurologo
Non si può pensare alla vecchiaia senza avvertire una sottile inquietudine.
Stigmata della condizione umana è la consapevolezza. L’uomo possiede (dono o castigo?) la coscienza, intesa come continuità del vissuto, Su tale continuità grava la consapevolezza della fine. Da che vi è stato un inizio tra il non esser mai e il non esser più la scelta è già stata fatta. E non da noi. L’uomo è dunque condannato a non esser più. Anche se, inconsciamente, ciascuno nega la propria morte.
Ma come ci poniamo di fronte, non dico al finire, ma al declinare la vita?
“Se di vecchiaia la detestata voglia non impetro”. “L’età ci spoglia di ogni cosa, anche dell’intelletto”. “Essere giovani è l’effetto del caso e svanisce come nebbia. Rimanere giovani è molto di più! è un’arte di pochi!” Tra il disperato pessimismo leopardiano o la lucida rassegnazione virgiliana o il fecondo ottimismo goethiano, perchè non scegliere quest’ultimo? Questa è una scelta ancora possibile! Anche se non facile.
Non soltanto l’immaginario collettivo, ma la stessa psicologia clinica tende a rimuovere la nozione d’invecchiamento: una rimozione controfobica che lascia fin troppo chiaramente trasparire la “paura” della vecchiaia. Disinformazione e pregiudizio…il deterioramento è inevitabile…incurabile la depressione dell’anziano…il sesso, un paradiso negato (ai vecchi la morte, ai giovani l’amore; di morte una sola, di amori tanti)…il taedium vitae…senectus ipsa morbus est…: questi i tabù da combattere!
Gli artisti, soprattutto in ambito figurativo e musicale, invecchiano meno e meno rapidamente; la depressione, pur che non risulti sintomatica di danno organico, risponde bene alla terapia; una scienza ancora giovane ma in rapido progresso, la Gerogogia, insegna ad invecchiare bene. Ora che rispetto al passato si riesce a dare anni alla vita, ora si deve dare vita agli anni. Non dunque una longevità per semplice sopravvivenza, ma una condizione che ci faccia ulteriormente progredire nello sviluppo della conoscenza e della “saggezza”.
Così che la vecchiaia, anziché malattia e castigo, si mostri per quello che è: non l’ultima stagione soltanto ma un’ulteriore chance perché ciascuno realizzi la propria unicità. Mai sentirsi appagati…il che vorrebbe dire “smettere di sognare”.
Così Neruda “lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine; chi non rischia la certezza per l’incertezza nel seguire un sogno”. Non dimentichiamo che “fatti non foste…” Ricordiamo che qualcuno bollò d’ingratitudine chi aveva sepolto il talento avuto in dono! Facciamo nostre le parole di Goethe “essere perennemente innamorati di qualcosa o di qualcuno, da vecchio, è più importante che essere, da giovane, potente ma senza amore!”
Estratto da “Il Magazine del Poliambulatorio Dalla Rosa Prati” Marzo-Maggio 2013