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FASTIDI AD ALTA QUOTA

Venerdì 24 Aprile 2015

A cura di Gianfranco Beltrami, specialista in cardiologia e medicina dello sport

Lo chiamano soroche e mette insieme più di un sintomo: tachicardia, debolezza muscolare, respiro corto al minimo sforzo, vertigini, spesso anche nausea e insonnia. Succede oltre i 3.000 metri ed è meglio conosciuto come mal d’altura: si manifesta quando l’organismo fatica ad adeguarsi alla nuova situazione ambientale.
Un malessere che può presentarsi in modo lieve oppure serio, con complicazioni gravi come l’edema cerebrale o polmonare.

Oltre i 3.000 metri la pressione atmosferica scende e l’ossigeno diminuisce del 40%, cosicché il corpo deve adattarsi all’abbassamento del grado di ossigenazione del sangue. Il malessere dipende dal fisico e dalla gradualità con cui si affronta l’altitudine.

Dopo i 2.500 metri, la miglior prevenzione consiste nel salire non oltre i 1.000 metri al giorno, fermandosi almeno una notte alla quota raggiunta perché l’organismo possa più facilmente acclimatarsi.
Nel frattempo, ogni attività fisica va svolta con molta moderazione finché non scompaiono i primi sintomi: è importante muoversi e camminare con calma, bere molta acqua, evitare cibi pesanti, in particolare all’ora di cena e, durante la notte, per facilitare il sonno, la stanza dovrebbe essere fresca e ben areata e la testa più in alto rispetto al corpo.
Dopo i pasti, bevande calde a base di erbe digestive infuse, come il mate de muña, sono un valido aiuto.

Tutti i sintomi tendono a peggiorare di notte, quando normalmente diminuisce la frequenza respiratoria, ma nelle forme lievi non interferiscono con le attività normali e scompaiono progressivamente nell’arco di due o tre giorni.

Quando i sintomi peggiorano, a volte può bastare un po’ di ossigeno (tutti gli hotel ne sono forniti). Se non dovesse essere sufficiente l’unico rimedio è scendere di quota.

 

Estratto da “Il Magazine del Poliambulatorio Dalla Rosa Prati” Marzo 2015

Fastidi ad alta quota