La depressione è un disturbo molto diffuso, ne soffrono circa 15 persone su 100 e i sintomi si possono manifestare in soggetti di qualsiasi età. Tuttavia si tratta di un disturbo mentale più comune nella vecchiaia ed è associata all’incremento di insorgenza di malattie fisiche e ad una peggior prognosi di quelle già presenti.
Così come in tutto il mondo occidentale, anche in Italia la popolazione invecchia rapidamente e progressivamente, nel 2010 le persone di oltre 65 anni di età erano il 22% della popolazione totale, nel 2025 saranno il 30%. A ciò conseguirà, inevitabilmente, l’incremento delle malattie correlate all’età, quali la demenza, le malattie cardiovascolari, i tumori e la depressione.
È stato stimato che la depressione degli anziani diviene sempre più frequente al variare degli ambienti di vita, raggiungendo la maggior frequenza nelle case di riposo, circa il 30% degli ospiti. Il concetto fondamentale da tenere in mente è che la depressione non è inevitabilmente collegata all’invecchiamento ma rappresenta, anche nella persona anziana, una condizione patologica curabile con le attuali terapie.
Abbiamo chiesto maggiori dettagli al dottor Claudio Vampini, psichiatra e psicogeriatra della Clinica San Francesco.
Quando e perché si manifesta la depressione negli anziani?
I più frequenti eventi di vita che possono indurre una depressione sono soprattutto quegli eventi che comportano una perdita, quali ad esempio la morte di persone care, il distacco dai figli, i deficit sensoriali, in particolare di vista e udito, il pensionamento e il venir meno del ruolo sociale, nonché il cambio di residenza, e la solitudine non voluta nei luoghi di cura o nelle case di riposo, ha spiegato il dottor Vampini. La condizione più frequente in assoluto è comunque la comparsa di una malattia fisica che comporti disabilità, con conseguente perdita dell’autonomia.
Come si può diagnosticare la depressione?
La diagnosi di un episodio depressivo viene oggi effettuata secondo i criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders dell’American Psychiatric Association, giunto alla quinta edizione (DSM-5). Benchè questo approccio diagnostico mal si presti a “etichettare e incasellare” l’ampio ventaglio dei quadri clinici della depressione senile, esso rappresenta comunque un punto di riferimento culturalmente imprescindibile.
Prima di procedere con una disanima dei sintomi legati alla depressione, ricordiamo che una visita psichiatrica o psicogeriatrica specialistica è indispensabile per una diagnosi corretta e per impostare un percorso di assistenza efficace.
La diagnosi della depressione negli anziani è complicata dal fatto che alcuni sintomi chiave, quali debolezza e facile affaticabilità, disturbi del sonno e perdita di peso corporeo, accompagnano spesso l’invecchiamento e sono altresì sintomi di patologie fisiche di cui l’anziano è spesso affetto. Inoltre, specie le persone di sesso maschile, tendono ad esprimere più lamentele di ordine fisico che emotivo (dolori vaghi, cefalea, spasmi, ecc). Ciò si traduce nella necessità di ricercare attentamente un altro sintomo cardine della depressione, diverso dalla tristezza, cioè la cosiddetta anedonia, definita come la perdita o diminuzione di interesse o di piacere in tutte o quasi tutte le attività.
La depressione in tarda età, oltre ad essere associata ad una ridotta qualità della vita e a disabilità, è anche responsabile di comportamenti autolesivi. In Italia sono riportati bassi livelli di decessi per suicidio ma, analogamente al contesto mondiale, la quota maggiore interessa gli over 65: un suicida su 3 ha oltre 70 anni, senza differenze di genere.
Un altro elemento da considerare attentamente è l’età di insorgenza della depressione. Il quadro clinico varia, infatti, in modo considerevole lungo l’arco della vita, in particolare tra coloro che hanno avuto una depressione ad esordio precoce o tardivo, cioè dopo i 60 – 65 anni. Questi ultimi presentano spesso sintomi quali rallentamento psicomotorio, apatia e deficit della funzione esecutiva (ad esempio difficoltà ad iniziare e portare a termine le attività quotidiane); si ritiene che in casi vi sia, come dato predisponente, una sofferenza arteriosclerotica del cervello, la cosiddetta depressione vascolare.
La depressione ricorrente nell’arco della vita è oggi riconosciuta come fattore di rischio per lo sviluppo successivo di una demenza. Alcune forme ad esordio in età senile possono, d’altra parte, costituire manifestazioni iniziali di una demenza, soprattutto della Malattia di Alzheimer.
Sintomi non necessariamente inquadrabili come diagnosi di Episodio Depressivo secondo il DSM-5, quali apatia, ritiro sociale, umore deflesso, irritabilità, comparsi per la prima volta dopo i 65 – 70 anni, appartengono spesso al quadro d’esordio delle demenze degenerative e possono anche anticipare di alcuni anni i deficit cognitivi. Ciò implica che i clinici pongano attenzione ad una valutazione neuro-cognitiva, ripetuta nel tempo, delle depressioni ad esordio tardivo.
Quali sono i trattamenti per i pazienti anziani affetti da depressione?
La decisione di trattare con farmaci antidepressivi un paziente anziano che presenta un episodio depressivo deve essere presa in base alla gravità delle manifestazioni cliniche, alla loro durata e all’impatto sul funzionamento nella vita quotidiana. La letteratura scientifica evidenzia come tutti gli antidepressivi, vecchi e nuovi, siano efficaci nella depressione senile, anche se, come sempre in Psichiatria, non è possibile sapere in anticipo quale antidepressivo si rivelerà efficace nel singolo paziente.
Lato farmacologico oggi ci si indirizza, negli anziani come nei soggetti giovani, verso l’impiego di composti di seconda generazione, particolare gli SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (il capostipite dei quali è la fluoxetina, in commercio dal 1986, nei media e nella cultura popolare ormai nota come pillola della felicità) e i più recenti SNRI inibitori selettivi del reuptake della serotonina e noradrenalina (come la venlafaxina) – che associano all’effetto antidepressivo un miglioramento delle capacità cognitive –, più sicuri e tollerabili dei TCA, gli antidepressivi triciclici di prima generazione, capostipite l’imipramina.
La durata del trattamento con antidepressivi negli anziani è di almeno un anno e dipende poi dal numero di episodi depressivi precedenti e alla presenza di fattori di rischio (tentativi autolesivi, stress psicosociali, malattie somatiche croniche, grave disabilità, ecc.). L’interruzione brusca degli antidepressivi può indurre una sindrome da sospensione che include ansia, insonnia, vertigini, irritabilità, nausea, vomito e sintomi simil-influenzali.
In considerazione del quadro descritto, la sospensione del trattamento dovrà avvenire gradualmente, nell’arco di alcune settimane. Tutti i pazienti cui viene prescritto un antidepressivo, e i loro eventuali caregiver (la o le persone che si prendono carico dell’assistenza all’anziano), dovrebbero essere informati del rischio di questo evento.
Gli anziani affetti da depressione dovrebbero essere incoraggiati ad aumentare l’attività fisica, compatibilmente con le loro possibilità fisiche. Le evidenze scientifiche suggeriscono, infatti, come l’esercizio fisico possa produrre effetti positivi sulla plasticità cerebrale e sulle funzioni cognitive (memoria, attenzione, concentrazione, ecc.).
Altre raccomandazioni utili per combattere la depressione includono, in genere, una sana alimentazione, l’aumento delle attività di svago e le interazioni sociali. Tuttavia, poiché la depressione aumenta la difficoltà a iniziare cambiamenti dello stile di vita, queste raccomandazioni sono generalmente insufficienti in mancanza di altri interventi, come la terapia farmacologica, la psicoterapia, o entrambi.
Un altro punto cardine è rappresentato dall’adozione di una dieta di tipo mediterraneo, con lo scopo di abbassare il rischio di depressione vascolare attraverso il controllo della dislipidemia, del diabete e del livello di omocisteina, oltre che dell’ipertensione e la categorica astensione dal fumo di sigaretta.
Vanno infine prevenute o corrette le condizioni di ipovitaminosi, particolarmente riguardanti le vitamine del gruppo B e l’acido folico, i cui bassi livelli possono contribuire alla depressione e alla resistenza agli antidepressivi.
Diversi sono gli interventi di tipo psicologico suggeriti per affrontare la depressione nel paziente anziano: Terapie Problem-Solving (TPS) che migliorano le capacità di gestire le situazioni critiche, terapie Cognitivo-Comportamentali (TCC) focalizzate al riconoscimento e alla modifica di stili comportamentali inadeguati ed infine, la Terapia Interpersonale (TIP), mirata ad intervenire sulle difficoltà relazionali del paziente, che possano aver influenzato l’inizio e la ricorrenza degli episodi depressivi.
Particolarmente indicate risultano anche semplici misure di supporto integrate nell’ambiente quotidiano (liste di cose da fare, utilizzo di strumenti quali calendari o orologi, ecc.), la rimozione di eventuali barriere fisiche e/o sociali al trattamento, nonché il sostegno emotivo da parte dei caregiver.
Nelle condizioni depressive particolarmente gravi, quali la depressione con delirio o allucinazioni (psicosi), con blocco psicomotorio (catatonia) e nei pazienti con tendenza suicidaria che non abbiano risposto agli antidepressivi, la terapia elettroconvulsivante (TEC), nota come elettroshock, è risultata particolarmente indicata con un buon profilo di sicurezza, tassi di risposta fino al 70% e con una rapidità d’azione maggiore rispetto al trattamento con antidepressivi.